Sul collezionismo di videoarte tra passato, presente e futuro

“Ho un amico che ha un amico che una volta ha comprato un video”. Con quest’affermazione scherzosa i direttori della fiera dedicata alla videoarte Loop di Barcellona (25-27 maggio, festival dal 18 maggio) Emilio Álvarez e Carlos Duran hanno intitolato il libro da loro pubblicato sul collezionismo di opere video, in cui si racconta la storia dell’affermazione di questo mezzo artistico attraverso vari autori, tra cui Barbara London, curatrice nota per aver fondato la videocollezione del MoMA di New York, e le esperienze di collezionisti con interviste a Julia Stoschek di Düsseldorf e Marc e Josée Gensollen di Marsiglia. Nei vari contributi sono affrontate problematiche legate alla riproducibilità dell‘opera, alla proprietà legale di qualcosa d‘immateriale, al sostegno alla produzione rispetto al semplice acquisto, e altre ancora, secondo un approccio non sistematico e manualistico, ma fatto di spunti di riflessione per ripensare un mondo ancora tutto da valorizzare.

Il video, infatti, è un segmento di nicchia, come si evince dall’ironia del titolo, ma che appassiona sempre più collezionisti, soprattutto raffinati, che non cercano l’opera da appendere sul divano, ma che stimoli a livello intellettuale. D’altronde è il mezzo espressivo che rispecchia la nostra contemporaneità, un tema sempre al centro della ricerca dei collezionisti attenti. Oggi siamo circondati dalle immagini in movimento. Gli artisti lo riflettono nelle loro opere e usano spessissimo il video. I musei lo hanno già capito. Sono stati loro i primi a collezionarlo. Tra questi il MoMA nei primi anni 70 con l’acquisizione di un nastro in edizione illimitata di “Global Groove” di Nam June Paik del 1973 al prezzo di 250 $, seguito da video ormai “classici” di Bruce Nauman, John Baldessari, Peter Campus, Joan Jonas, Lynda Benglis, Martha Rosler e Vito Acconci.

La storia del mercato. Eppure il mercato rimane scettico perché cerca la materialità, mentre il video è effimero, riproducibile, poco monetizzabile. Già negli anni 30 del Novecento Julien Levy, il gallerista dei Surrealisti a New York, si chiedeva come commercializzare gli esperimenti filmici dei suoi artisti e sperava di venderli in edizione limitata per valorizzare il cinema come mezzo artistico. “Film concepiti da pittori importanti come Duchamp, Léger, o Dalì dovrebbero avere lo stesso valore di una tela dipinta dalla loro mano” scriveva Levy nelle sue memorie. “Se ci fosse un mercato e un collezionismo, convincerei altri artisti a sperimentare con questo mezzo”. Purtroppo non ebbe successo.
Per l’ingresso del video nel mercato bisogna aspettare il 1974 quando, dopo tentativi di scarso successo di personaggi come Claude Givaudan a Parigi e Gerry Schum con la sua “Fernsehgalerie”, Leo Castelli e Ileana Sonnabend aprono a New York la Castelli-Sonnabend Tapes and Films Inc. Già dal 1968 Castelli inizia a trattare video poiché gli artisti con cui lavora, come Bruce Nauman e Robert Morris, sperimentano con questo mezzo. Con l’apertura della nuova joint venture nasce la prima organizzazione negli Usa a vendere arte basata sulle immagini in movimento. I prezzi sono sotto i 250 $ (con sconti per i colleghi galleristi che acquistano per rivendere), mentre gli acquirenti sono principalmente musei e università.

Le edizioni sono per lo più illimitate. Le poche opere create in edizioni limitate di 20 vengono vendute a 1.000 $, ma questa rarefazione forzata dell’offerta non fa aumentare la domanda. Il bilancio annuale della galleria si chiude ogni anno con un deficit di 10.000 $ e nel 1985 cessa le attività. Nel frattempo il video continua ad essere distribuito in circuiti indipendenti grazie a organizzazioni non-profit come Electronic Arts Interemix, creata da Howard Wise nel 1971, e Video Data Bank, creata esattamente 40 anni fa alla School of Art Institute di Chicago.

 
libro video arte
Il retro di copertina

Gli anni 90. Il vero boom della videoarte sul mercato arriva negli anni 90. Per vari motivi. Innanzitutto il fattore economico: con il crash del 1990, i galleristi hanno meno da perdere a mostrare opere meno commerciali. Poi c’è il fattore storico-artistico: la generazione emersa negli anni 90, infatti, gode del lavoro pionieristico svolto dalla generazione precedente, che ha creato una storia e un’estetica del mezzo. Poi c’è la nascita di internet e l’affermazione delle edizioni per far fronte alla moltiplicazione dei metodi di distribuzione e riproducibilità dei video (per cui le edizioni passano da 20 a meno di dieci), c’è l’affermazione della fotografia a colori in grande formato e delle grandi installazioni e delle videoproiezioni, che sottraggono la videoarte al semplice monitor e le conferiscono monumentalità. Inoltre, si afferma la pratica di vendere non solo il video in sé, ma anche fotografie e altre opere realizzate con mezzi espressivi più tradizionali legate al video. Così si arriva, per esempio, ai 387.000 $ per “Cremaster 4” di Matthew Barney, venduto da Christie’s nel 1999 come un oggetto-scultura. Sul mercato secondario, comunque, la videoarte rimane rara. Un po’ perché la tecnologia si evolve così rapidamente che le opere entrate in collezioni private nei decenni passati sono già obsolete e inadatte ad essere reintrodotte nel mercato, un po’ perché non promette grandi rendimenti, per cui i collezionisti preferiscono tenersi le opere invece di rivenderle senza un guadagno.

 
 

Nuovi modelli. Oggi si presentano nel mercato della videoarte nuove necessità e problematiche alle quali il modello dell’edizione limitata non sembra più in grado di rispondere. Oltre alla proprietà dell’oggetto, infatti, sarebbe necessario trasferire anche parte dei diritti di riproduzione dell’opera per mostre e festival. Inoltre, sempre più artisti realizzano film che richiedono grandi produzioni e sono destinate a circuiti molto più ampi di quello della galleria. Per non parlare del fatto che oggi i video circolano su una varietà di piattaforme come YouTube e Vimeo. La videoarte oggi si rivolge ad un pubblico più ampio di quello dei pochi conoscitori del mondo dell’arte contemporanea. D’altro canto, come dice l’artista trentenne americana Sondra Perry, il cui lavoro tratta il tema dello “slittamento dell’identità” nell’era digitale attraverso video, computer art, performance e installazioni, “il video ha in sé un carattere rivoluzionario ed è stato creato per essere condiviso e riprodotto più e più e più volte”.

INFORMAZIONI LIBRO:
Autore: Autori vari
Titolo: I Have a Friend Who Knows Someone Who Bought a Video, Once. On Collecting Video Art
Testi di: Erika Balsom, Giselle Beiguelman, Erick Beltrán, Manuel Borja-Villel, Haro Cumbusyan, Keren Cytter, Egbert Dommering, Marc and Josée Gensollen, Carles Guerra, Jean-Conrad Lemaître, Barbara London, Han Nefkens, Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, Alain Servais, Julia Stoschek, Sandra Terdjman, Elena Vozmediano and Lori Zippay
Editore: Loop Barcellona e Mousse Publishing Milano
Lingua: Inglese
Pagine: 160 pp
Prezzo: 18, 00 €
Anno di Pubblicazione: 2016
ISBN: 9788867492190

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